INDOVINA CHI VIENE A CENA?
Come è andata...

Venerdì 21 Ottobre





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FAMIGLIA ROMENA

A casa di Oana

Le cucine degli amici e amiche provenienti da altre terre hanno sempre arricchito la mia cucina. Ieri ero molto contenta perché mia figlia per la prima volta ha cucinato la yuca( manioca) infarinata e fritta in padella che ho comprato a porta palazzo. A mia figlia piace molto. Io la mangiavo in Nicaragua quando ci vivevo, ma lei, che nata lì è venuta in Italia a 9 mesi, l’ha conosciuta qui dalla cucina delle mie amiche africane e/o latino americane. Mi è piaciuta l’idea della Rete di “Indovina chi viene a cena”, intorno a un bicchiere di vino e a un piatto caldo, l’umanità si è sempre assaporata , conosciuta, incrociata o avvelenata. Tanta parte della vita e della storia umana passa dal letto e dalla cucina. Ho saputo solo all’ultimo momento in quale casa sarei stata ospite, ho saputo che ero da Oana, una cara amica romena. Avevo già conosciuto la sua cucina in altra occasione ma soprattutto la sua cucina italiana: già Oana cucina all’italiana, ed anche bene. Conosco da anni Oana, una giovane e bella donna romena dal cuore grande. Viso aperto, gioviale, dolce e morbida in tutto. E’ lei che si è occupata della carriera scolastica di sua sorella che oggi fa l’artista a Milano. Oana vive a Torino, in un appartamento piacevole, limpido e ordinato( che invidia ! a me che vivo con giovani manca spesso l’ordine) Oana è molto accogliente, come la sua famiglia ( che ho avuto il piacere di conoscere), come tante romene e romeni che conosco. E’ una donna che si chiede molto. Parla benissimo l’inglese e l’italiano. E’ la presidente dell’Associaizone Bucovina di Torino, lavora, come operatrice sociale, nei campi nomadi, occupandosi di quella popolazione che nella sua patria è marginale e non è ben vista( Oana dice c’è più razzismo da noi che in Italia ). Oana si spende per i più umili, quando parla delle donne delle sue campagne, della vita dura che fanno, si coglie l’amore e il rispetto che porta per queste genti. Iniziamo la cena con un succo di lamponi preparato dalla sua mamma( dalla Romania con amore), mi tira su( grazie all’alcol). Mi dice- da noi quando si invitano ospiti , per aperitivo si offre del demi dulze( demi sec in romeno)- Un raffinato vino dolce che io apprezzo molto e che mi ha fatto conoscere Oana. E intanto cominciamo a gustare il cibo che Oana ha preparato: “ l’ insalata di melanzane”, in realtà una delicata crema di melanzane, racchiusa dentro a pomodori crudi;  – le melanzane sono state cotte alla piastra, devono diventare molto morbide!- la mousse di tonno( si può fare anche con altri pesci), che Oana ha reso più leggera, modificando la sua cucina originaria- in Italia non si può mangiare come in Romania, è un clima diverso, bisogna usare meno grassi. Ai tempi di Ceausescu, si apprezzava tanto la mousse di sardine, era il cibo a cui si accedeva con difficoltà.-  E’ raffinata, si accompagna bene con il pane, i crostini e intanto sono passata a bere del vino italiano. Gusto l’insalata russa. E’ davvero prelibata, io apprezzo particolarmente l’insalata russa romena e dell’est, le trovo mediamente più buone di quelle italiane che mangio. Oana mi racconta i piccoli segreti della cucina che rendono il cibo speciale – le patate e le carote vanno cotte con la buccia dopo averle ben lavate, a parte si cuociono i piselli. Patate e carote si tagliano a cubetti, quando sono fredde, si aggiungono cetrioli sotto aceto, anche carne bollita sempre tagliata a cubetti, ma io in Italia la preferisco più leggera. Se vuoi aggiungi capperi( un extra appreso in Italia) e olive. Si aggiunge poi la maionese. Noi mettiamo tante verdure e poca maionese- Io noto che le loro verdure sono più al dente delle nostre. -Sai- continua Oana- da noi con gli ospiti si preparano antipasti con cetrioli, pomodori, affettati, formaggio di pecora che in romeno si chiama ( cas,), poi si passa alle zuppe o minestre. Abbiamo una varietà di zuppe, con verdure e carne, di sole verdure, di patate, con polpette di semola, di fagioli, di barbabietola rossa, ma in tutte si mescola il bors,un liquido acido preparato con crusca , un rametto di ciliegio, lievito, acqua, che deve fermentare per 2 o 3 giorni. E’ molto sano, fa bene e si usa nelle zuppe o minestre , che vengono chiamate anche queste bors, - poi come sai, mangiamo tanta carne e molto fritte, nelle campagne si usa tanto lo strutto. La questione è che di inverno da noi si raggiungono i 30 gradi sotto zero, ed allora i grassi sono vitali per resistere, ma qui con un diverso clima io alleggerisco gli ingredienti - poi abbiamo i sarmale, gli involtini di carne tritata, con riso, verdure, carote, cipolle, sale, pepe, peperoni, aneto( marar), prezzemolo. Si impasta il tutto e si raccolgono in foglie di cavolo scottate, o messe in salamoia, ma possono essere raccolte in foglie di vite o nei peperoni. La cipolla si frigge prima. La cottura è importante. - Oana come si cuociono? - si cuociono in grandi pentoloni, prima si mette uno strato di legnetti, poi una strato di foglie di verza, quindi si dispongono gli involtini a strati, ben stretti tra loro, non ci devono essere spazi liberi, si aggiungono rametti di timo, succo di pomodoro, dell’olio. Poi si mette acqua al fondo, ( mi sembra un terzo all’incirca, interpretazione mia), non vanno coperti d’acqua, è un metodo di cottura a vapore. Si copre la pentola e si lascia cuocere a fuoco lento- Godo: conosco i loro involtini e mi piacciono molto, ma mi ha ricordato il metodo di cottura della carne che ho assaporato in Nicaragua a casa di una coppia di amici. Se mi piaceva quella carne, un giorno o l’altro sperimento tutto a casa mia. Ed intanto ho affondato il mio palato nella polenta con funghi che Oana mi ha preparato, una crema delicata di funghi porcini, tanti funghi. Ci ho dato dentro, tanto, troppo ed ho chiesto pietosamente di fermarci lì. I funghi e la polenta Oana me li ha cucinati direttamente mentre chiacchieravamo di amici/e amiche, conoscenti comuni, e dei campi nomadi, delle ingiustizie perpetrate verso questa popolazione. Oana conosce bene la sua gente, ha lo sguardo interno di chi sa, capisce, non quello esterno nostro che oggettivizza e frammenta alcuni fatti o atti. Un giorno di qualche mese fa, una donna vestita di nero era inginocchiata immobile in via Po’, non era la prima volta che vedevo questa donna per ore e ore rimanere in quella posizione, e sempre mi ero chiesta come facesse a tenere quella posizione( pensavo ai fachiri indiani) e soprattutto perché. Quel giorno, un signore le si è avvicinato e le ha chiesto come poteva aiutarla, anch’io mi sono fatta coraggio ed ho parlato con lei. La signora ci ha spiegato che lei stava lavorando per i suoi nipoti rimasti senza genitori( due che mandava a scuola!), io le ho chiesto se conosceva Oana, e la donna mi ha risposto- sì certo la signora Oana - il signore le ha chiesto se e dove poteva mandare del cibo, e la donna gentilmente gli ha dato il riferimento del campo dove io so che Oana lavora. Dopo ho chiamato Oana per telefono e le ho chiesto perché questa donna continuava a chiedere l’elemosina così. Era chiaro, dietro alla mia domanda c’era la domanda cosa si può fare per farla smettere? Oana mi ha risposto – Anna quella donna ha scelto quella strada, sta lavorando per i suoi nipoti, è la sua scelta.- Un’ orizzonte troppo difficile per me, ma la voce pacata e dolce di Oana quel giorno mi ha fatto sentire che anch’io avevo da approfondire senza pregiudicare. La prima volta che ho conosciuto Oana e la sua famiglia è stato in Bucovina credo nel 2008. Ho avuto l’onore di essere invitata in Bucovina dalla ex presidente dell’Associazione Bucovina di Torino, Simona Amaritei. E lì ho conosciuto persone di grande semplicità e accoglienza, amanti della cultura in tutte le sue espressioni ed una terra ricca di arte e cultura. Prima di uscire dalla casa, Oana mi ha regalato una delle uova artistiche che si producono in Bucovina. In un oggetto di tale fragilità e delicatezza, quanta bellezza riescono a creare !

Anna Raffaella Belpiede (Facebook)


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FAMIGLIA MAROCCHINA

Stasera siamo andati a cena a casa di amici.

Una bella casa al decimo piano di uno dei grattacieli nuovi di Torino; quei palazzi sulla Dora che per quindici giorni si erano illuminati con le Olimpiadi, ma che si erano quasi subito spenti in attesa di riempirsi poi di famiglie, persone, vite e storie da tutte le parti del mondo. A tavola, stasera, eravamo in otto e nessuno di noi conosceva gli altri. Non ci eravano mai visti prima d’ora, né al lavoro, né a scuola o – per dire – in palestra. I padroni di casa non ci avevano invitato e noi non ci siamo imbucati. Non era un blind date per coppie annoiate, né uno scherzo di Halloween. Eravamo tra persone serie, così serie che il giovane Adil (عادل) ci ha atteso sotto casa per venti minuti, per accompagnarci su al decimo piano dai suoi genitori. E stasera non è che facesse proprio caldo, giù in strada. Adil si è seduto a capotavola e, mentre ci raccontava che per due anni al Liceo Gobetti hanno recitato Dante e gli altri grandi poeti italiani, come Giosuè Carducci e Ugo Foscolo, suo padre Mostafa (مصطفى ) e sua madre Najat (نجاة) di là in cucina disponevano il couscous dentro due enormi Tajine di ceramica smaltata blu cobalto e arabeschi dorati. Sua sorella Layla (ليلى), invece, con un leggero accento toscano ci diceva di quanto sia difficile il quarto anno, quando hai scelto l’indirizzo del Piano Nazionale Informatica e, soprattutto, quando il tuo nome significa “una delle mille e una notte”. Il couscous era delizioso. E loro anche. Si è parlato di viaggi da Marrakech a Parigi, di motocarri per portare le cassette di frutta avanti e indietro dai mercati generali, di una laurea in informatica e in teologia, di Gesù profeta dell’Islam, di una moschea che a Torino ancora non c’è. Si è riso alle battute di Adil, che passava dal tennis alle citazioni di Omero con una velocità che solo i quattordicenni hanno. Si è scherzato parecchio, mentre il té verde alla menta ci accompagnava dolcemente verso la fine della cena. Abbiamo visto gli occhi di due genitori guardare fieri i loro figli italiani; abbiamo visto gli occhi grati di due figli guardare i loro genitori marocchini; ci siamo sentiti più tranquilli nel pensare che – ben presto – quei ragazzi saranno tra i protagonisti della nostra città, con la loro energia e voglia di farsi strada con le proprie gambe, e la propria testa. Per una volta, a cena tra amici non si è parlato di chi-fa-cosa-su-facebook.
E, forse, questa è la miglior notizia della serata.

Marco Orlando (http://marcoorlando.wordpress.com)

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Si scoprono molte cose attraverso gli incontri e i pensieri che si  fanno a “Indovina chi viene a cena?”

Cari amici della Rete, si scoprono molte cose attraverso gli incontri e i pensieri che si  fanno a Indovina chi viene a cena? Innanzi tutto le persone che ti accolgono a casa e i loro segreti culinari (sotto questo aspetto la serata argentina è andata  doppiamente bene). Poi può anche capitare di scoprire qualcosa di se  stessi. Quando ho risposto all’invito a Indovina chi viene a cena? ho chiesto  ad Antonio Damasco di scegliere lui per me la casa ospite: tanto le  cucine le amo tutte, probabilmente anche quelle che non ho ancora  provato! E poi, non conoscendo le famiglie ospitanti, una vale  l’altra. Fai tu. Dopo un po’ è sopraggiunto un pensiero inatteso e bizzarro, ho pensato che avrei preferito essere ospite in una famiglia del sud, più che in  una dell’est.  Mi sono chiesto il perché: non per la cucina, quindi?  Simpatia per il sud o antipatia per l’est? La domanda è uscita in questi termini ed è uscita fuori per la prima volta, proprio in questa occasione. Ho capito che attraverso la preferenza per il sud nascondevo un pregiudizio. Non sapevo di averne, almeno non riguardo i rapporti umani. Penso che questi incontri vadano sicuramente oltre l’aspetto  conviviale, generano riflessioni, producono aperture, sono incontri  autentici in cui la formalità cede spazio a favore dell’intimità. Dopo aver espresso questo mio pensiero spero di non essermi giocato i possibili amici (e cuochi) dell’est.


Gabriele Fasolino 

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FAMIGLIA ETIOPE

Chissà perché ci dobbiamo sempre infilare nei progetti più strani?

Chissà perché ci dobbiamo sempre infilare nei progetti più strani? Cos’è questa novità di andare a cena in casa di estranei che ti propongono anche una cucina etnica poco conosciuta? Poi a dire il vero: cucina Etiope?! Boh! Ci sono anche pochi ristoranti di questo tipo …ci sarà un motivo???  Certo ci vuole un po’ di spirito di avventura, per raccogliere la sfida, ma vi raccontiamo come è andata e quanto è stato piacevole e arricchente, un modo nuovo per conoscersi anche attraverso il pretesto del cibo. Una cena organizzata secondo le usanze etiopi, con  una serie di “specialità”da consumarsi secondo un “rito” ben preciso, senza l’uso di posate…. (che però hanno aggiunto per noi, grazie!). Per prima cosa si stende sul piatto un foglio di “pasta” sopra il quale si mettono le porzioni dei differenti piatti preparati. In Etiopia si fa un largo uso di spezie nella preparazione dei piatti, così come di cipolla. Infatti tutte le portate sono molto speziate, ma in  modo differente e le spezie conferiscono il loro caratteristico aroma con molto garbo, così la  cipolla che non prevarica gli altri sapori. ( probabilmente il merito è nella bravura della cuoca). Ma torniamo al come si mangia: quando tutti si sono serviti, si inizia, si prende un altro foglio di pasta, si strappa con le mani un pezzo di pasta e con questa si raccoglie, pizzicandola, una porzione di pietanza, e la si porta alla bocca. Anche noi ospiti italiani abbiamo accantonato le posate e ci siamo cimentati, certo con qualche difficoltà, almeno nel nostro caso. Una piacevole conversazione ci ha accompagnato per tutto il tempo, è stato uno scambio continuo   orientato sui vari piatti, sulle modalità di preparazione, sulle usanze etiopi,  sulle influenze europee,  sulla cultura orale e scritta che contraddistingue questo popolo africano. La loro lingua è l’  aramaico che si insegna nelle scuole per passare poi, nelle superiori, all’inglese o al francese. Dopo cena ci siamo spostati in salotto per il rito del caffè che prevede una preparazione decisamente più articolata di quella italiana con moka e miscela già macinata. Innanzitutto il luogo: il caffè si prende all’aperto preferibilmente sull’erba;  quando non si può c’è un tappetino verde, a rappresentare l’erba, sulla quale è appoggiato un singolare vassoio per le tazzine, che su un lato ha un particolare “appoggio” per la “caffettiera”. Il rito inizia dal caffè verde, che viene bagnato e tostato sul momento, con un apposito braciere, su cui viene rigirato continuamente a mano, così da garantire una tostatura uniforme. Quando è pronto un meraviglioso profumo si diffonde;  allora si macina e lo si versa in un apposito bricco nel quale viene ovviamente inserita anche l’acqua e lo si posta sul braciere, a cuocere. Non sappiamo bene se venga portato in ebollizione o no, perché ci siamo calati  tutti nello spirito tipico che prevede lunghi tempi di  preparazione per consentire una buona conversazione, un chiacchiericcio del più e del meno, con il sottofondo di musiche e danze che ci arrivava da un video sulle diverse tradizioni e usanze. Di tanto in tanto Cristina, la padrona di casa,  ne controllava lo stato versandone un po’ in una tazzina.  Quando la cottura è stata valutata completa, il bricco è stato posto sull’appoggio del vassoio, in posizione inclinata, a decantare, in modo che la polvere del caffè depositasse sul fondo.  Versandolo poi nelle tazzine, come ogni caffè preparato “alla turca”, un po’ di fondo scendeva lo stesso, ma molto meno di quello che avremmo creduto. Il gusto era di un caffè non forte, ma ottimo. Il rito del caffè, in Etiopia, non si compie nel dopo cena, ma nel corso della giornata. La donna che decide di preparare il caffè, invita le sue amiche e la fase di preparazione e di attesa è utilizzata per i pettegolezzi. Per noi è stato un fitto parlare dell’ Etiopia, delle usanze e delle sue bellezze, dei rischi che si incontrano, della trasformazione sociale che c’è stata negli ultimi anni, il tempo è trascorso veloce e in molto piacevole, senza quasi rendercene conto si è fatta mezzanotte. Così ci siamo salutati e scambiati buone intenzioni per conoscersi meglio.  Veramente una  piacevole serata!!! L’avventura è iniziata bene. La consigliamo con piacere.

Maria Carla e Gabriele 

Il reciproco piacere di "conoscersi"

La cena a casa di Cristina  è stata molto piacevole e ricca di sensazioni sia olfattive che gustative. Oltre ad aver apprezzato i sapori della cucina etiope abbiamo scoperto particolarità legate all'utilizzo delle spezie nella preparazione dei cibi. Il rito del caffè che va dalla tostatura, alla macinazione,  alla preparazione dell'infuso come momento di conversazione  e di pettegolezzo è stato veramente coinvolgente. Ciò che ci è particolarmente piaciuto è la notevole facilità nell'instaurare un rapporto empatico. I discorsi non sono mai stati impostati, ma fluivano facilmente per il reciproco piacere di "conoscersi" e di poter interagire assieme. L'estrema gentilezza e cortesia della padrona di casa e delle sue figlie ci ha fatto sentire sempre a nostro agio e sempre graditi ospiti. Grazie per averci dato la possibilità di partecipare.

Stefania e Paolo 


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FAMIGLIA ALBANESE

Ci siamo "portate a casa" una serata di confronti, pensieri, storie e culture

Io e la mia amica Federica siamo arrivate un po' tese ed emozionate a questa "cena al buio" e nelle nostre testa ronzava un  "Indovina da chi vai a cena!" seguito da colorate e fantasiose ipotesi sulla scena in cui stavamo per catapultarci. Appena entrate nel condominio, siamo state inondate da un profumino che  immediatamente ci ha guidate fino all'accogliente intimità della casetta di Dafina, Imelda ed Eliona, tre studentesse e lavoratrici che avevano cucinato per noi alcune specialità della loro terra, l'Albania. Insieme a loro c'era già un'altra ospite, Cecilia, e dopo le presentazioni e i sorrisi, subito l'alchimia che scatta quando in una cucina ci sono cinque donne, una splendida tavola apparecchiata, del buon cibo e del buon vino, ci ha portate a sederci e a gustare un fantastico antipasto a base di peperoni e ricotta, saporito e stuzzicante, insieme a dei sottaceti croccanti e gustosi;  poi abbiamo mangiato un ottimo pasticcio di pasta al forno a base di formaggio, delle melanzane ripiene, innaffiando tutto con fiumi di vino rosso, chiacchiere, risate, aneddoti e curiosità. Infine ci hanno coccolate con un golosissimo dolce al cioccolato ed una grappa tipica per digerire la meravigliosa mega cena! Abbiamo imparato i nomi albanesi di ogni piatto, ma ho serie difficoltà a riportarli! A parte le cose buonissime che abbiamo mangiato, ci siamo "portate a casa" una serata di confronti, pensieri, storie e culture. Il calore di un'empatia ed una sintonia che si creano magicamente in poche ore e rompono muri e confini, anche quelli mentali. Quest'esperienza è stata estremamente positiva, un'idea geniale, da diffondere e ripetere! Uno spazio rilassante, dove un tavolo ed una cena assumono significati potenti, come prendersi cura di qualcuno, conoscersi, scoprirsi, comunicare,  condividere, raccontarsi, guardarsi, divertirsi e sorprendersi. Scoprire che ogni persona ha qualcosa da dare e da ricevere, per questo noi cinque ci siamo fatte la promessa di organizzare altre cene a casa di ognuna di
noi per "scambiarci" le specialità dei nostri paesi d'origine, e poi siamo state così bene che ci siamo lasciate anche un po' con la voglia di rivederci. Una sola pecca: il contributo è meglio darlo prima di cenare, magari
concordando una consegna indiretta, come lasciare una busta con i soldini all'ingresso, perché dopo aver cenato insieme diventa troppo imbarazzante. Grazie di cuore.

Carolina e Federica

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FAMIGLIA PIEMONTESE

Se si vuole essere o diventare 'aperti', si deve iniziare da subito

Ciao a tutti, siamo Daniela e Maurizia e la scorsa settimana siamo state ospiti dei 'Piemontesi'. Essendo entrambe piemontesi.... un inizio cauto, non c'è che dire! Noi ci siamo trovate molto bene, sia per le bontà che abbiamo gustato, che per le ricette che siamo riuscite a 'scucire', ma soprattutto è stata molto gradevole la compagnia. Ad un certo punto, mentre ci avventuravamo fra le colline del chierese, ridanciane come sempre, mi sono chiesta dove diavolo stavamo andando. A cena, a casa di persone mai viste. Un po’ un azzardo! Ma essendo noi cittadine del mondo, ci siamo lasciate assorbire dall'atmosfera familiare e, devo dire, abbiamo conosciuto persone con le quali condividere. Non solo la cucina. Condividere. Se sulle prime il fatto di non poter scegliere la famiglia ospitante ci ha un po’ spiazzate, abbiamo molto apprezzato il fatto sorpresa. Se si vuole essere o diventare 'aperti', si deve iniziare da subito. La prima esperienza è andata magnificamente... avanti la prossima! Un abbraccio a tutti, un grazie ai nostri 'Piemontesi' e complimenti per l'idea stuzzicante che ha avuto la Rete.

Daniela Di Girolamo


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